Mostra a cura di Fabio Massaccesi, con la collaborazione di Ekaterina Voronkina
Data:
Luogo: Biblioteca delle Arti, sezione Arti visive "I. B. Supino", complesso di Santa Cristina, Piazzetta G. Morandi 2, 40125 Bologna - Evento in presenza e online
Tipo: Mostre
Il quinto appuntamento del ciclo Blind Spot: percorsi inediti alla Biblioteca Supino è dedicato alla figura eminente e poliedrica di Francesco Arcangeli (Bologna, 1915–1974), nel cinquantesimo anniversario della sua scomparsa. Storico dell’arte di primissimo piano, ma anche poeta, critico, curatore, direttore di musei e, dal 1967 al 1974, docente di Storia dell’arte presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Bologna, Arcangeli fu mente inquieta e profondamente moderna, capace di attraversare secoli e linguaggi con uno sguardo che, dall’arte medievale, si estendeva fino alla contemporaneità e al cinema.
La mostra intende restituire, in forma di pochi frammenti, l’ampiezza e la profondità del suo pensiero, dei suoi interessi e della sua pratica intellettuale, attraverso materiali originali — tesi di laurea, dispense, lettere, libri, fotografie, appunti, articoli — che testimoniano una riflessione instancabile, spesso veicolata attraverso l’insegnamento, in una dimensione di appassionata, e mai scontata, interpretazione che oltre essere filologica e storica è prospettiva personalissima.
L’incipit del titolo ‘Polvere del tempo’ è tratto da una sua raccolta poetica (1943) e racchiude emblematicamente la prospettiva arcangeliana del suo sguardo critico: non solo come sequenza lineare dei fatti artistici, ma come sedimentazione viva, trasformazione lenta, ma inesorabile dell’arte. Polvere, dunque, non come ciò che si posa per far tacere, ma come ciò che avvolge e aderisce alle opere d’arte, accompagnandole nel loro mutare inarrestabile. È in questa angolazione che Arcangeli sembra intuire una propria “teoria del tramando”, in cui la trasmissione si configura come processo vibrante intrinseco delle opere colte nel tempo lungo dell’umanità, al di là delle cesure di comodo e persino delle mode.
Quattro sezioni tematiche (Bologna: Il magistero di Roberto Longhi; Il “tempo proprio” di Arcangeli: il ‘tramando’; Dal Trecento bolognese al cinema; Arcangeli critico militante) articolano il percorso espositivo, mettendo in luce snodi critici, alleanze intellettuali e linee di ricerca che attraversano la sua opera, tra antico e moderno, continuando a dialogare con il presente, in un’eredità ancora oggi feconda.
L’immagine complessiva che la mostra restituisce è potente ed evocativa. Un incastro e un accostamento di immagini, libri e documenti fra loro accostati capaci di innescare un dialogo accendersi in un cortocircuito che esprime la capacità di Arcangeli di deformare il tessuto spazio-temporale, accorciando le distanze e tradendo il movente decisivo, seppur subacqueo, in cui le arti tutte sono dominate dalle parentele e dalle continuità.
SEZIONE I
La documentazione conservata nell’Archivio Storico dell’Università di Bologna permette di ricostruire con precisione il percorso formativo di Francesco Arcangeli, dalla sua immatricolazione al Corso di Lettere, avvenuta il 2 novembre 1933, fino al conferimento del massimo voto di laurea, 110 e lode, il 10 novembre 1937.
Inizialmente orientato verso una tesi su Guicciardini, Arcangeli fu presto attratto e profondamente influenzato dall’insegnamento di Roberto Longhi (Alba, 1890 – Firenze, 1970). Tale influenza si manifestò con particolare intensità fin dal corso del 1934, Momenti della pittura bolognese, che coincise con l’anno di pubblicazione della prima edizione di Officina ferrarese.
Il rapporto con Longhi trovò la sua piena espressione nella tesi di laurea su Jacopo di Paolo (1937) e si riverberò nelle prime opere critiche di Arcangeli, tra cui Tarsie (1942). Il legame con il Maestro venne ricordato con affetto e riconoscenza in numerose occasioni, in particolare all’apertura del suo primo corso universitario, Corpo, azione, sentimento, fantasia: naturalismo ed espressione nella tradizione artistica emiliano-bolognese. Il dattiloscritto dell’anno accademico 1967-1968, conservato nella Biblioteca delle Arti, sezione Arti Visive, ‘I.B. Supino’, fu poi pubblicato a stampa con la cura di Vanessa Pietrantonio e la prefazione di Vera Fortunati (Mulino, Bologna 2015).
In quell’occasione Arcangeli ricordò ai suoi studenti:
“Non posso non rifarmi a quello che fu la mia esperienza universitaria, più che trent’anni or sono: l’alunnato, e la conclusione dei miei studi accademici con Roberto Longhi. Mi rifaccio ai primi traumi ammirativi, subiti di fronte alla sequenza d’immagini della pittura trecentesca bolognese che Longhi faceva passare sullo schermo, rivelandoci con la sua parola penetrante e ineguagliabile, il tesoro d’una grande tradizione locale, che stava forse dentro di noi, ma oscura come qualche cosa di subconscio, quasi di prenatale”.
Dal 1967 Arcangeli assunse la cattedra di Storia dell’arte medievale e moderna presso l’Università di Bologna, fino alla sua prematura scomparsa, il 14 febbraio 1974 la stessa che era stata di Longhi, esaudendo così l’auspicio che il Maestro, trasferitosi a Firenze nel 1949, aveva confidato all’allievo:
“Non nego che il desiderio di vederti continuare il lavoro a me caro nella vecchia trincea di via Zamboni, sovrastava a ogni altra considerazione”.
(Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio, Fondo Arcangeli, 79.10.184, 10 agosto 1949).
Un sorridente Francesco Arcangeli all’età di 26 anni, ritratto nella casa di Cesare Gnudi (Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio, Fondo Speciale Francesco Arcangeli).
Roberto Longhi (Alba, 1890 – Firenze, 1970).
Francesco Arcangeli nacque a Bologna il 10 luglio 1915, figlio di Adolfo, originario di Coriano di Rimini, e di Maria Villani, proveniente da Tintoria di Baricella, vicino a Minerbio. Era l’ultimo di tre fratelli: Angelo, detto Nino, Gaetano e Bianca Rosa. Dopo aver completato gli studi liceali presso il Liceo Minghetti di Bologna, Arcangeli si iscrisse alla Facoltà di Lettere dell’Università di Bologna il 2 novembre 1933, dove rimase profondamente segnato dall’incontro con Roberto Longhi.
Allievo di Pietro Toesca, Roberto Longhi si laureò nel 1911 con una tesi su Caravaggio. Nel 1934 iniziò la sua attività come docente di Storia dell’arte medievale e moderna presso l’Università di Bologna, incarico che mantenne fino al 1949, anno in cui si trasferì all’Università di Firenze. Tra i suoi allievi bolognesi, oltre a Francesco Arcangeli — suo primo laureato — si distinsero Mina Gregori e Carlo Volpe.
Documento datato 2 novembre 1933, con richiesta di immatricolazione al primo anno della Facoltà di Lettere presso la Regia Università di Bologna, indirizzata al Magnifico Rettore dell’epoca, Alessandro Ghigi (Bologna, Archivio Storico dell’Università).
Documento datato 28 maggio 1937, attestante la domanda di laurea per la discussione della tesi intitolata Jacopo di Paolo nello svolgimento della pittura bolognese, il cui relatore era Roberto Longhi (Bologna, Archivio storico dell’Università).
Documento che attesta il percorso accademico di Francesco Arcangeli, con l’elenco degli esami sostenuti e le rispettive valutazioni, nonché la data della discussione della tesi, avvenuta il 10 novembre 1937, con il voto finale di 110 su 110 e la menzione della lode (Bologna, Archivio Storico dell’Università).
Della tesi di laurea si conserva una copia presso la Fondazione di Studi in Storia dell’arte Roberto Longhi e un’altra presso l’Archivio Storico dell’Università di Bologna. La tesi è stata pubblicata da Fabio Massaccesi con il titolo Francesco Arcangeli nell’officina bolognese di Roberto Longhi. La tesi su Jacopo di Paolo (1937), Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2011.
Roberto Longhi, Momenti della pittura bolognese, in L’Archiginnasio. Bullettino della Biblioteca Comunale di Bologna, XIV (1935), Bologna 1936, pp. 111-135.
Lo scritto di Roberto Longhi è consultabile online alla pagina http://badigit.comune.bologna.it/books/bollettino/pdf/1935-4.pdf
Il 1° dicembre 1934 Roberto Longhi iniziò il suo insegnamento presso l’Università di Bologna, dedicando il corso ai Momenti della pittura bolognese. Arcangeli, ricordando quelle prime lezioni, racconta che, in fondo all’aula gremita, Longhi, alto e vestito completamente di nero, leggeva la sua mirabile prolusione, suscitando in lui quella che definì «una chiamata quasi irresistibile a seguirlo».
Roberto Longhi, Officina Ferrarese, Le edizioni d’Italia, Roma 1934.
Francesco Arcangeli, Tarsie, Tumminelli, Roma 1942, ristampa del 1943.
Arcangeli nel 1942 pubblicò il primo importante saggio d’arte antica, Tarsie, per la collana diretta da Emilio Cecchi (ristampato a cura di Massimo Ferretti per le Edizioni della Normale di Pisa nel 2014). Il tema era stato toccato pochi anni prima proprio dal maestro Roberto Longhi in Officina ferrarese (1934).
Cecchi gli scrisse il 27 settembre del 1941 (Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio, Fondo Arcangeli): “Vorrei che Voi faceste il volumetto delle tarsie italiane: credo che bisognerebbe fermarsi al secolo XVI: Assisi, Bologna, Opera del Duomo di Firenze, Siena, San Quirico d’Orcia ecc. ecc. […] Vorrei che queste Tarsie fossero fra i primi volumetti. Io ci terrei molto che voi accettaste. Ho letto vostre pagine nella ‘Ruota’, e mi piacquero molto”.
SEZIONE II
Questa sezione intende evocare quello che potremmo definire, con consapevole scelta terminologica, il tempo proprio di Francesco Arcangeli. L’espressione, mutuata dalla fisica e dall’astrofisica, designa il tempo che appartiene in modo intrinseco a un corpo o a un fenomeno in movimento, segnando una distanza irriducibile rispetto a ogni tempo assoluto. Traslata nel campo della riflessione storico-artistica, essa si rivela particolarmente efficace per restituire la complessità irriducibile della prospettiva critica di Arcangeli, che concepisce ogni fatto artistico come inscritto in una dimensione temporale singolare, irripetibile, eppure attraversata da un principio unificante.
È in questa direzione che si colloca il concetto di tramando, termine coniato dallo stesso Arcangeli nella sua monografia su Bastianino (1963), per indicare una forza invisibile ma operante, capace di attraversare la lunga durata della storia dell’arte — dal Medioevo alla contemporaneità — facendo affiorare continuità vitali, tracce comuni, percorsi sotterranei di senso. Tale forza agisce in un processo costante di dilatazione e contrazione delle maglie spazio-temporali, come una personale “legge della relatività” che struttura il pensiero arcangeliano e lo distingue all’interno del panorama critico del secondo Novecento.
Il tramando permette così di cogliere il destino più autentico degli artisti al di là delle coordinate cronologiche consuete, facendo dialogare passato, presente e futuro in una costellazione viva (si veda il cortocircuito fotografico dell’autore esposto in mostra: Wiligelmo-de Kooning-Pollock-Carracci). Lo stesso Arcangeli avrebbe ribadito la centralità del concetto nel corso Corpo, Azione, sentimento e fantasia: “ora quello io chiamo il ‘tramando’ è invece la possibilità di non considerare come univocamente è totalitariamente negativa una situazione data, ma di elaborarne criticamente alcuni elementi che, nella complessità effettiva o non schematizzabile del reale, siano possibili di elaborazione vitale; e anche, eventualmente, di “ricerca”. Ogni momento della storia che è come la cresta trascorrente sulla profondità d’un moto ondoso che non è fatto soltanto di un “oggi”, ma anche d’un passato e d’un futuro, non può essere riassumibile in una tesi univoca se non nella mente di quelli uomini, talvolta di altissimo livello, ma oggettivamente, a mio avviso, pericolosissimi, che usiamo chiamare gli “intellettuali”. Al cuore di questa visione sta la convinzione che l’opera d’arte non esaurisca mai i suoi significati, come avrebbe ribadito nel 1969, in occasione dell’Adunanza straordinaria per il conferimento dei premi Feltrinelli presso l’Accademia Nazionale dei Lincei: “Accade oggi, nelle […] condizioni innovative… dunque…tramando, per trasmissione ma, al tempo stesso, per trasformazione. I significati dell’opera si fanno ‘inesausti’ entro la vita della storia, che per la mia generazione non è mai stata la Storia con la S maiuscola dello storicismo, ma umana, travagliata coscienza del tempo che passa. L’opera è inesausta nei significati anche perché è inesausto il travaglio che è dentro di noi”.
Questa concezione trova un’applicazione paradigmatica nei volumi di tavole preparati per il corso Corpo, azione, sentimento e fantasia (1967–68), in cui Arcangeli accosta Wiligelmo — “dove è già l’orrenda dolcezza e la disperazione della carne” (1952) — a Ludovico Carracci, de Kooning e Pollock. In questo spazio critico e visivo comune, le opere entrano in una lenta e profonda azione e reazione reciproca, tracciando un tempo condiviso, vissuto, continuamente ridiscusso. Tale cortocircuito visivo, che affonda le sue radici negli esordi critici dell’autore (Tracce di Wiligelmo a Cremona, “Paragone”, 1951), trova pieno compimento nella mostra Natura ed espressione nell’arte bolognese-emiliana (Bologna, 1970), summa del suo impegno tra rigore filologico e lettura personale, tra storia e coscienza.
Wiligelmo, Storie di Noè (dettaglio), 1099-1106, Duomo di Modena.
Nel pensiero di Francesco Arcangeli, le sculture di Wiligelmo sulla facciata del Duomo di Modena incarnano una soglia decisiva: quella di una nuova consapevolezza fisica dell’umano, che egli definisce come una “nuova genesi”. Un evento artistico che, pur nel cuore del Medioevo, anticiperebbe — quasi per predestinazione — la moderna coscienza del corpo e del dolore, nel loro intreccio inscindibile con l’esperienza della materia e dell’identità.
Nel 1952, in una conversazione radiofonica, rimasta inedita (L’arte antica in Emilia, 22 marzo 1952, oggi conservata presso la Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, Fondo Arcangeli, Conversazioni radiofoniche 89), Arcangeli affermava senza esitazione: “Sulla facciata del Duomo di Modena, ecco apparire l’epica primordiale di Wiligelmo; predestinato a scolpire una nuova genesi, dove è già l’orrenda dolcezza e la disperazione della carne”.
Questa visione affonda le sue radici nella prima, intensa riflessione dedicata all’artista nel saggio Tracce di Wiligelmo a Cremona, pubblicato su «Paragone» nel 1951. Qui, Arcangeli individua nel linguaggio plastico di Wiligelmo un evento epistemico, un moto interiore e spirituale reso carne: “Qui il segreto più alto di Wiligelmo: raggiungere un effetto plastico di crescita dall’interno prima ignoto nella scultura, nell’arte, forse nel pensiero del Medioevo. Come se l’uomo, in lui, avesse riconosciuto, quasi in un atto di dolce e grave ribrezzo, la sua consistenza corporale, e ne avesse poi oscuramente gioito, in un lento, profondo sussulto (il ‘corpo allegro’ di un grande poeta moderno, presentito nelle latèbre dell’animo medievale)”.
Quel “grande poeta moderno” cui Arcangeli allude è Giuseppe Ungaretti, e in particolare il verso “il corpo allegro” tratto dalla poesia Caino, compresa nella raccolta Sentimento del tempo (1933, edizione accresciuta 1936). Arcangeli possedeva proprio quest’ultima edizione, donatagli nel 1938 da Ranuccio Bianchi Bandinelli, oggi conservata anch’essa presso la Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna.
Questo intreccio di rimandi — da Wiligelmo a Ungaretti, dalla scultura medievale alla poesia del Novecento — disegna un arco critico e affettivo che tradisce il movente più profondo del pensiero arcangeliano: l’idea di un’arte che tramanda, nel senso etimologico e insieme esistenziale del termine, i tratti comuni dell’umano lungo l’estensione dei ‘tempi propri’. L’“uomo di pena” evocato da Ungaretti, lacerato tra carne e spirito, diviene nella lettura di Arcangeli il doppio moderno della “figura dell’uomo” scolpita da Wiligelmo: due presenze separate da secoli, ma tenute insieme dalla stessa deformazione del tessuto spazio-temporale, che il critico coglie nel gesto artistico come in un destino. Ed è proprio questo accorciamento delle distanze, questa continuazione sotterranea, che definisce il cuore del tramando: un principio di parentela profonda tra le arti, che consente al passato di vivere nel presente e al presente di leggere sé stesso nel passato.
Willem de Kooning, Woman I, 1950- 1952 c., New York, Museum of Modern Art (MoMA).
L’accostamento di questo dipinto al rilievo di Wiligelmo è la conferma dell’operazione svolta da Arcangeli ed è lui stesso ad affermarlo nelle dispense al corso dell’anno accademico 1968-1969:
“de Kooning oppone all’immagine regolata, perfettamente fisica e quasi igienica della femminilità delle metropoli industriali, la figura potente, abnorme, ferocemente animale di questa sua ‘Donna’ […] de Kooning che si riaggrappa alla propria fisicità è simile a quella di Wiligelmo, […] proprio perché egli stava lavorando alla creazione d’un nuovo spazio, esistenziale e immanente, della vita e dell’arte insieme” (Corpo, azione e fantasia, a.a. 1968-69, p. 21-22).
Jackson Pollock, Blue poles, Camberra, National Gallery of Australia.
Il dipinto di Pollock è richiamato d’Arcangeli proprio nel fluire di una consonanza universale che risale alla scultura romanica di Wiligelmo e che lo accomuna a de Kooning.
Scrive Arcangeli: “In questa concezione inesorabilmente esistenziale, i due grandi maestri americani [Pollock e de Kooning] hanno rievocato inconsapevolmente la visione di figura e quella di vegetazione naturale con la remota ispirazione di Wiligelmo che aveva accumunate nel corpo della sua scultura” (Corpo, azione, sentimento e fantasia, anno accademico 1968-1969).
E l’autore prosegue: “Jackson Pollock […] ha dipinto qualche cosa che non dipende certo da Wiligelmo […] ma ripete in situazione diversissima qualche cosa di quella remota vicenda.
Questo dipinto anche se esprime una violenta scarica di caotica soggettività, la esprime in consonanza con qualche cosa di profondamente antiastratto e consonante col naturale. È l’esplosione d’una idea della vita il più immediatamente istintuale che sia possibile pensare” (Corpo, azione, sentimento e fantasia, anno accademico 1969-1970).
Arcangeli trova una identità sotterranea che nel fluire delle forme porterà all’informale, la cui origine sarà ancora una volta riconosciuta in Wiligelmo: “voi direte: cosa c’entra un romanico con un informale? C’entra […] il remoto scultore come il pittore di oggi ha scelto uno spazio e l’ha soffocato, gremito di cose […] se Wiligelmo reagiva a sovrastrutture mistiche, così non c’è dubbio che Pollock o Morlotti hanno reagito a sovrastrutture urbano-tecnologiche, in cui del resto l’uomo di oggi crede con un minore abbandono di quanto non accadesse per l’uomo medievale nel confronto delle sue sovrastrutture trascendentali” (Corpo, azione, sentimento e fantasia, anno accademico 1968-1969).
Ludovico Carracci, Trinità, 1590 c.; Città del Vaticano, Musei Vaticani.
Wiligelmo, Pollock, de Kooning in questa traiettoria persino la pittura tra Cinque e Seicento trova nel percorso critico tracciato da Arcangeli – da Wiligelmo a de Kooning, da Pollock a Ludovico Carracci – anche la pittura tra Cinque e Seicento si carica di una tensione primordiale, in cui le forme si muovono “avviluppando e diviluppando, in uno spazio non statico, ma vivente”, come annota nei materiali del corso Corpo, azione, sentimento e fantasia (1969–1970).
Il dipinto diventa così teatro di forze in lenta reazione reciproca, segnato da una dinamica interna che trascende le epoche. Nulla, per Arcangeli, nasce senza legami: ogni immagine autentica è radicata in un primordio, ossia“il momento in cui la vita si afferma come realtà biologica […], ma non è ancora civiltà costituita”. È lì che il tramando trova la sua sorgente profonda.
Francesco Arcangeli, Natura ed espressione nell’arte bolognese-emiliana, catalogo della mostra (Bologna, Palazzo dell’Archiginnasio 12 settembre -22 novembre 1970), Edizioni Alfa, Bologna 1970.
La mostra Natura ed espressione nell’arte bolognese-emiliana rappresenta il punto culminante dell’elaborazione critica di Arcangeli, maturata sin dagli anni Cinquanta. In essa si compone una genealogia visiva che unisce Wiligelmo, Vitale da Bologna, Amico Aspertini, Ludovico Carracci, Giuseppe Maria Crespi e Giorgio Morandi: una linea di forza espressiva che, attraversando i secoli, restituisce all’arte locale una vitalità profonda, capace di far emergere, attraverso il tramando, continuità sotterranee tra epoche e forme.
SEZIONE III
È noto il ruolo centrale che Arcangeli ebbe nello studio del Trecento bolognese, sin dalla tesi di laurea su Jacopo di Paolo (1937); meno noto è invece il contributo offerto accanto a Longhi nell’organizzazione della celebre Mostra della pittura bolognese del Trecento (1950), documentato da una lettera inedita del 4 maggio dello stesso anno.
Le dispense del corso Corpo, azione, sentimento, fantasia (1969–70) mostrano come Arcangeli, pur meditando a fondo gli insegnamenti del maestro, li abbia progressivamente rielaborati, aprendo a una lettura più personale e visivamente potente.
Di questi anni è anche il suo contributo al volume su San Giacomo a Bologna (1965), ma gli interessi si ampliano ormai ben oltre il Trecento: lo dimostrano le tesi assegnate, che spaziano dalla pittura giottesca a Pollock, de Kooning, Morlotti, Morandi, Mandelli, fino al cinema — con registi come Antonioni, Pasolini, Ejsenstejn — di cui si espone, per la prima volta, una sua recensione pubblicata sul Corriere della Sera del film la Monaca di Monza di Eriprando Visconti (22 giugno 1969).
Roberto Longhi, Mostra della pittura bolognese del Trecento, catalogo della mostra (Bologna, Pinacoteca Nazionale, maggio-luglio 1950), Bologna 1950.
A distanza di sedici anni dal celebre corso longhiano Momenti della pittura bolognese (1934), al quale Arcangeli aveva preso parte, culminando la propria formazione con una tesi su Jacopo di Paolo (1937), figura chiave del neogiottismo bolognese, Longhi tornò su quella visione riformatrice con la mostra del 1950 dedicata alla pittura bolognese del Trecento. L’allestimento, tenutosi alla Pinacoteca Nazionale di Bologna, segnò un momento cruciale nella ridefinizione della scuola felsinea medievale. Fu proprio Arcangeli, già coinvolto nella preparazione della mostra e in stretta corrispondenza con Longhi, a contribuire in modo determinante con le sue ricerche: si deve a lui l’identificazione e l’esposizione delle prime miniature attribuite a Jacopo di Paolo — gli Statuti della Società della seta— a conferma delle intuizioni sviluppate nei suoi studi giovanili. Il 1950 fu anche l’anno di fondazione di Paragone, la rivista longhiana il cui progetto era stato condiviso, in via confidenziale, con Arcangeli già l’anno precedente.
Lettera del 4 maggio 1950, Bologna Biblioteca dell’Archiginnasio, fondo Arcangeli, 79.10, n.84. La lettera ad oggi inedita testimonia il grado di confidenza tra Maestro e allievo e il ruolo giocato da quest’ultimo per la buona riuscita della mostra.
Trascrizione:
Caro Arcangeli,
mi viene a mente ora qualcosa che abbiamo forse dimenticato per il buon successo della mostra. Perché abbiamo esposto a guisa di preparazione ambientale alcuni esemplari della miniatura bizantineggiante a cavallo dei secoli; e poi il Pantheon di Goffredo da Viterbo (per l’umor realistico e immaginoso del 1330) perché non esporremmo anche (per l’altro aspetto) in una vetrina il piviale di San Domenico che sostituirebbe le mancanti (e del resto inidentificabili oggi) miniature francesi che furono certamente a Bologna a quei tempi? Un’altra cosa abbiamo stranamente dimenticato gli affreschi di Pisa sono stati staccati. Perché non chiederne qualche pezzo alla Soprintendenza di Pisa? Credo che vedere nella sala degli affreschi qualche pezzo del Trionfo della Morte e del Giudizio finale, sarebbe straordinariamente istruttivo.
Che cosa ne pensate? Scrivetemi subito in proposito.
Dimmi anche se fra gli affreschi staccati di Mezzaratta in Pinacoteca c’è anche la Probatica Piscina dell’altro Jacobus perché mi possa regolare nel testo.
Attendo risposta subito.
Tuo aff. Roberto Longhi
P.S. Gli Uffizi affermano che da domani i dipinti saranno pronti.
Vergini folli, Santa Maria di Erfurt, 1350 c.
Vitale da Bologna, Particolare del fregio della cappella della Maddalena in Santa Maria dei Servi di Bologna.
Vitale da Bologna, San Giorgio e il drago, Bologna, Pinacoteca Nazionale.
Nel corso universitario Corpo, azione, sentimento, fantasia (a.a. 1968–69), Arcangeli invita gli studenti a confronti arditi e di potente efficacia evocativa. L’energia cinetica delle Vergini folli di Erfurt è letta in sincronia con la tensione espressiva delle figure di Vitale da Bologna:
“[Le Vergini] si agitano in un fare fluente e spezzato ad un tempo, “espressionistico”, da richiamar d’avvicino il gesto del San Giorgio o della Madonna dei Denti di Vitale […] ecco dunque profilarsi l’arte inconfondibile di Vitale da Bologna, ancora una volta, come sarà nei nodi capitali della più grande tradizione bolognese, profondamente esistenziale […]”.
Nel fregio della cappella della Maddalena, Vitale traduce tale energia in una forma organica che pare lievitare dall’interno: la forza plastica si trasmette inarrestabile dalla vegetazione alle figure, in un’osmosi vitale tra uomo e mondo.
Francesco Arcangeli, Pittura bolognese del ’300 in San Giacomo Maggiore, in Il Tempio di San Giacomo Maggiore in Bologna, VII centenario della fondazione 1267-1967, a cura di Carlo Volpe, Bologna 1967, pp. 101-115.
Nel contributo pubblicato in occasione del VII Centenario della fondazione della chiesa agostiniana di San Giacomo Maggiore a Bologna, Arcangeli torna a confrontarsi con i grandi temi della pittura bolognese del Trecento, approfondendo non solo la figura di Jacopo di Paolo — al centro della sua tesi di laurea del 1937, rimasta inedita, alla quale resterà fedele— ma aprendo anche a nuove piste di ricerca più ampie, capaci di rilanciare l’intero dibattito critico sulla scuola bolognese del Trecento.
Flavio Caroli, Morlotti e l’informale, a.a. 1967-68.
Giuliana Sant’Andrea, Il significato dell’opera di Giorgio Morandi in rapporto alla pittura metafisica, a.a. 1967-68.
Silvana Longo, Aspetti del giottismo romagnolo, a.a. 1969-70
Anna Maria Fellini, Ejsenstejn grande pittore del cinema, a.a. 1969-70.
Donatella Biasin, Jackson Pollock, a.a. 1969-70.
Angelo Manelli, Il cinema in Pier Paolo Pasolini, a.a. 1970-1971.
Viviana Rubbi, Giorgio Morandi 1918-22, a.a. 1971-72.
Segnati anche dalle tensioni delle contestazioni studentesche — smaniose di rovesciamenti tra antico e moderno — i suoi primi anni di insegnamento universitario mostrano una capacità di reazione e un’apertura straordinaria. Nel discorso tenuto alla fine del 1968, in occasione del conferimento del Premio Feltrinelli, Arcangeli rievocava proprio quella stagione: i suoi corsi si erano così, come abbiamo visto, via via arricchiti di nomi contemporanei, da Lichtenstein a De Kooning, Gorky e Warhol, entro cui prendeva forma un’idea di arte come “peso e necessità di vita”. Calamitati dalla forza del suo insegnamento, sono molti gli studenti che decisero di laurearsi con lui e le tesi mostrano l’ampiezza dei suoi interessi trasversali che toccano anche il cinema.
Tra i molti allievi spiccano: Jadranka Bentini, Evoluzione e involuzione di un maestro bolognese del ‘’400: Michele di Matteo (1968-69); Serena Padovani, Giovan Francesco da Rimini (1968-69); Adalgisa Lugli, Medardo Rosso (1968-69); Renzo Grandi, Una proposta per il gotico internazionale in Emilia: dalla sagra di Carpi al castello di Vignola (1968-69); Emilia Calbi, Domenico Corvi e il ’700 romano (1970-71); Anna Colombi, Giovanni Serodine (1971-72), Francesca Alinovi, Carlo Corsi (1970-71) e molti altri.
La Monaca di Monza vista da Arcangeli. Mi sembra un capolavoro, Corriere della Sera, 22 giugno 1969.
Resta in gran parte da scrivere il capitolo dedicato al rapporto tra Arcangeli e il cinema, ma già le indagini svolte in questa occasione hanno portato alla luce numerose tesi assegnate sull’argomento, confermando la vitalità di un interesse mai occasionale. La sua attenzione per il linguaggio cinematografico in rapporto con le arti sembra infatti discendere da una naturale inclinazione a far coincidere sempre di più l’arte con la vita.
In questa rara recensione del film La Monaca di Monza di Eriprando Visconti, Arcangeli coglie l’intreccio tra rigore formale e intensità esistenziale come misura di giudizio critico: «È ovvio che non bastano, in un’opera d’arte, i pregi formali; tanto meno bastano per il cinema, così naturalmente legato alla vita».
Rivolgendosi con tono partecipe ma netto ai critici cinematografici, Arcangeli ricorda che un film è un’opera complessa e stratificata, da valutare nella sua totalità espressiva. E conclude, non senza una punta di provocazione, che proprio alla critica cinematografica manca spesso il sentimento dell’arte:
«Forse occorre aver amato profondamente, oltreché la natura lombarda, i granturchi che Ennio Morlotti dipinse nell’estate del 1954 per apprezzare a dovere il brano della fuga disperata dell’Osio e delle monache, attraverso i canneti del Lambro?».
SEZIONE IV
Direttore della Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna dal 18 agosto 1958 al 1967 — della cui attività si espone il Catalogo della mostra delle nuove acquisizioni alla Galleria d’Arte Moderna (1963) — Francesco Arcangeli seppe incarnare lo spirito più autentico e impegnato della critica militante. Una militanza che non va mai disgiunta dalla sua costante attenzione per lo studio dell’arte antica e moderna, in un’osmosi fertile tra ricerca storico-critica e azione culturale.
Particolare rilievo assume, in questo quadro, l’impegno di Arcangeli nella definizione di valori civici e sociali alla base della formazione di una collezione pubblica, come emerge da una sua affermazione, tratta dall’introduzione alle acquisizioni: «Solo la concreta comprensione delle opere può togliere dal piano di quella astrazione, che si va profilando sempre più minacciosa, l’organizzazione della cultura».
Accanto al suo Morandi del 1960 — saggio travagliato, commissionato dalla Galleria del Milione e pittore che era stato oggetto di almeno due tesi di laurea — la sezione evoca l’interesse di Arcangeli per artisti a lui contemporanei come Ennio Morlotti, al quale fu dedicata la tesi di Flavio Caroli (1969), e Carlo Corsi, oggetto della mostra antologica da lui curata nel 1964 e della tesi di Francesca Alinovi (1970-71) e il cui catalogo fu donato dallo stesso Arcangeli alla Biblioteca dell’Istituto il 9 gennaio 1970.
Nello stesso anno pubblicava anche il volume su Pompilio Mandelli, artista emblematico per una pittura intrisa di tensione esistenziale e forza interiore: «Viene prima il brivido della vita che la struttura della mente, così si potrebbe forse dire, riassumendo, della pittura di Mandelli […] È una umanità [quella di Mandelli] che deve esporsi ormai, cui non basta più l'antico brivido esistenziale, l'antica febbre; che non ha più riparo di solitudine, ma deve portare e porta alla luce le sue malattie; la sua presenza; la sua lungamente macerata, lentamente cresciuta, tranquillamente disperata forza».
Francesco Arcangeli, Mostra delle nuove acquisizioni alla Galleria d’arte moderna, catalogo della mostra (Museo civico 2-15 maggio 1963), Arti grafiche tamari, Bologna 1963.
Francesco Arcangeli, Giorgio Morandi, Edizione del Milione, Milano 1964.
Morandi, insieme a Carrà e De Pisis, rappresentò per Arcangeli un’opportunità decisiva per interrogare in chiave contemporanea le forme della tradizione: i corpi edilizi, le architetture degli oggetti, le risonanze degli intarsi rinascimentali, che già nel volume Tarsie (1942) non esitava a ricondurre in didascalia come natura morta. Nulla, tuttavia, di programmaticamente dichiarato: come ha osservato Ferretti (2014), fu proprio la frequentazione di quelle opere a raffinare “l’occhio del critico in senso utile anche davanti agli artisti viventi”, rendendolo più capace di cogliere la poetica silenziosa del visibile.
Francesco Arcangeli, Carlo Corsi. Mostra antologica, catalogo della mostra (Bologna, Museo Civico 14 giugno-19 luglio 1964), Edizioni Alfa, Bologna 1964.
Francesco Arcangeli, Pompilio Mandelli. Figure, Edizioni Alfa, Bologna1970.
Mostra a cura di Fabio Massaccesi con la collaborazione di Ekaterina Voronkina
Testi: Fabio Massaccesi
Allestimento: Fabio Massaccesi, Ekaterina Voronkina
Si ringrazia Maria Pia Torricelli e Antonella Parmeggiani dell’Archivio Storico Alma mater Studiorum, Università di Bologna
Supervisione, mostra online, comunicazione: Giulia Calanna, Caterina Cossetto