Mostra fotografica a cura di Giacomo Alberto Calogero e Gianluca del Monaco, con la collaborazione di Margot Bellini, Giada Compagnoni, Anna Sofia Desideri, Rosario Leuzzi, Emma Squartini e Sofia Zanardi
Data:
Luogo: Biblioteca delle Arti, sezione Arti visive "I. B. Supino", complesso di Santa Cristina, piazzetta G. Morandi 2, 40125 Bologna - Evento in presenza e online
Tipo: Mostre
Il terzo progetto espositivo del ciclo Blind Spot: percorsi inediti alla Biblioteca Supino è dedicato a una selezione di fotografie di dipinti italiani appartenenti all’archivio personale dello storico dell’arte Carlo Volpe (1926-1984), tra i principali allievi di Roberto Longhi e tra i massimi interpreti del metodo della connoisseurship. Volpe, di cui ricorrono quest’anno i quarant’anni dalla scomparsa, fu docente presso l’Università di Bologna ed eminente studioso di pittura italiana, con un particolare interesse per l’Italia centrale tra Due e Trecento e le vicende figurative dell’Emilia e della Romagna dal XIII al XVIII secolo. Inserendosi pienamente nella tradizione dei conoscitori del Novecento, costituì negli anni un’importante raccolta fotografica come imprescindibile strumento al servizio delle proprie ricerche. La Fototeca Volpe è stata acquisita dall’Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna (IBC) nel 1988 ed è divenuta parte della Fototeca I.B. Supino della Biblioteca del Dipartimento delle Arti Visive dell’Università di Bologna, ora Biblioteca delle Arti afferente all’Area Patrimonio Culturale.
La mostra La fototeca di Carlo Volpe: l'officina del conoscitore, a cura di Giacomo Alberto Calogero e Gianluca del Monaco, ha potuto giovarsi della collaborazione degli studenti Margot Bellini, Giada Compagnoni, Anna Sofia Desideri, Rosario Leuzzi, Emma Squartini e Sofia Zanardi, che hanno frequentato uno dei Laboratori parte dell’offerta didattica della laurea magistrale in Arti visive, coordinato dal prof. del Monaco.
Le quattro sezioni in cui è suddivisa l’esposizione presentano ciascuna alcune foto relative a un dipinto studiato e attribuito da Volpe in diverse fasi della sua carriera: la prima riguarda una Crocifissione su tavola in collezione privata, che lo studioso propose di riferire a un pittore bolognese attivo alla fine del Duecento in una breve nota all’interno de La Pittura Riminese del Trecento (1965); la seconda presenta l’illuminante restituzione alla fase tarda di Ambrogio Lorenzetti per un rovinato affresco con l’Incoronazione della Vergine nella chiesa di Sant’Agostino a Montefalco, pubblicata all’interno del giovanile articolo incentrato sul pittore senese comparso su “Paragone” (1951), ma rimasta pressoché ignorata nella letteratura successiva; la terza concerne la decisiva ascrizione a Paolo Uccello dell’Adorazione del Bambino frammentaria riemersa su una parete della sagrestia di San Martino a Bologna alla fine degli anni Settanta e occasione di una fondamentale rilettura dell’opera dell’artista fiorentino delineata poco dopo su “Paragone” (1980); la quarta, infine, illustra il riconoscimento alla mano di Ludovico Carracci della tela con San Vincenzo Martire attualmente parte della collezione Unicredit, a conferma del ruolo d’avanguardia assegnato al più anziano dei Carracci da Francesco Arcangeli (1915-1974), edito in un numero di “Paragone” (1976) dedicato proprio al collega e amico scomparso due anni prima.
La mostra intende così promuovere una migliore conoscenza del fondo Fototeca Volpe conservato presso la Biblioteca delle Arti, invitando inoltre a riflettere sull’importanza dell’attribuzione come atto connotante la professione dello storico dell’arte, nella specifica modalità in cui fu praticata da Volpe: per lo studioso bolognese, infatti, secondo l’insegnamento di Longhi, l’attribuzione di un’opera non si riduceva mai a semplice agnizione e classificazione, ma diventava comprensione dei suoi valori qualitativi più alti e insieme ricostruzione del contesto storico-artistico di cui era parte integrante e condizionante: “nel trovare luogo entro un quadro di riferimento già storicamente assestato, il nuovo pezzo ne viene convalidato e insieme contribuisce a chiarirlo” (Daniele Benati, Carlo Volpe conoscitore, in Igino Benvenuto Supino e Carlo Volpe in dialogo con le arti, a cura di M. Pigozzi, Edizioni TIP.LE.CO., Piacenza 2012, pp. 13-18: 18).
In appendice al testo di ogni sezione è inserito un collegamento alla schedatura catalografica dei dipinti riprodotti nelle fotografie realizzata dagli studenti coinvolti sulla piattaforma web Omeka.net.
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Nell’intento di delineare brevemente la cultura figurativa dei miniatori bolognesi degli ultimi decenni del Duecento quale importante referente per i primi riminesi del Trecento, da Giuliano a Giovanni e al miniatore Neri, nelle prime pagine della sua monografia di maggior respiro, La Pittura Riminese del Trecento (1965, p. 11), Volpe menzionava una Crocifissione su tavola in collezione privata, che “non può appartenere ad altra cerchia degna di civiltà se non a quella bolognese intorno al 1280”.
L’opera era stata pubblicata da Edward Garrison (1949, p. 100, n. 254) come dipinto veneziano di metà Trecento, per poi essere ricondotta poco dopo da Pietro Toesca (1951, p. 706) nell’alveo della cultura duccesca senese. L’ipotesi attributiva era approfondita dallo studioso in una rapida quanto densa nota. Volpe (1965, pp. 56-57, nota 9) individuava la compresenza di auliche e classicheggianti “ascendenze bizantine” e di eleganze gotiche, degne di un “Duccio del 1285” o di “un pittore oltremontano”. Collegava questa combinazione di diverse componenti figurative alle miniature del Salterio 346 della Biblioteca Universitaria di Bologna, oggi ritenute tra i massimi esiti del Maestro della Bibbia di Gerona, protagonista del “secondo stile” della miniatura bolognese alla fine del Duecento. Inoltre, identificava lo schema formale del Cristo crocifisso tra i ricami del piviale inglese di San Domenico (Bologna, Museo Civico Medievale), a riprova delle coordinate cronologiche e geografiche proposte per la tavola.
A distanza di due anni, Volpe (1967, p. 84) riproponeva la sua intuizione a fianco dell’affresco di medesimo soggetto nella prima delle arche sepolcrali lungo il fianco della chiesa di San Giacomo Maggiore, la cui riapertura nel 1963 costituiva agli occhi dello studioso un seppur parzialissimo risarcimento per la perdita pressoché totale della produzione di pittura monumentale a Bologna negli ultimi decenni del XIII secolo. Posta in dubbio da Federico Zeri (1985) nell’occasione di riunire in dittico alla tavola la Madonna col Bambino in trono tra i santi Pietro e Paolo della Barnes Foundation di Marion (PA), l’ipotesi di Volpe è stata invece ribadita da Daniele Benati (1986, p. 210; 2000, pp. 99-100).
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Pittore bolognese, fine XIII secolo: Crocifissione. Collezione privata. Fototeca Volpe, inv. 3083/16, Bologna, Biblioteca delle Arti, Fototeca I.B. Supino
Manifattura inglese, fine XIII secolo: Piviale di San Domenico, particolare. Bologna, Museo Civico Medievale. Fototeca Volpe, inv. 3083/04, Bologna, Biblioteca delle Arti, Fototeca I.B. Supino
Pittore bolognese, fine XIII secolo: Crocifissione. Bologna, San Giacomo Maggiore. Fototeca Volpe, inv. 3083/12, Bologna, Biblioteca delle Arti, Fototeca I.B. Supino
Pittore bolognese, fine XIII secolo: Crocifissione, particolare. Bologna, San Giacomo Maggiore. Fototeca Volpe, inv. 3083/13, Bologna, Biblioteca delle Arti, Fototeca I.B. Supino
Dopo essersi laureato con Longhi a Bologna con una tesi su Gli affreschi di Pietro Lorenzetti ad Assisi (1949), Volpe pubblicò nella seconda annata della rivista appena fondata dal maestro, “Paragone”, due innovativi articoli dedicati ai fratelli senesi, Ambrogio Lorenzetti e le congiunzioni fiorentine-senesi nel quarto decennio del Trecento (in “Paragone”, II, 13, gennaio 1951, pp. 40-52) e Proposte per il problema di Pietro Lorenzetti (in “Paragone”, II, 23, novembre 1951, pp. 13-26).
Nel primo contributo, il giovane studioso metteva in luce le relazioni intessute da Ambrogio con il fronte più progressista della Firenze giottesca nel corso dei soggiorni documentati tra la fine degli anni dieci e gli anni trenta del Trecento, rappresentato in termini longhiani soprattutto da Maso di Banco e dalla personalità ricostruita da Longhi in quello stesso numero sotto il misterioso nome di Stefano Fiorentino, che gli studi hanno invece successivamente identificato in Puccio Capanna.
L’eredità di quel proficuo incontro Volpe vedeva ancora agire in un rovinatissimo affresco raffigurante l’Incoronazione della Vergine sulla parete sinistra della chiesa di Sant’Agostino a Montefalco. Qui la complessa articolazione dello spazio, dove le figure diminuiscono gradualmente di dimensioni secondo la loro distanza dall’osservatore, racchiude un trono potentemente plastico, che ospita una versione dell’Incoronazione del polittico Baroncelli riformata “secondo i precetti di una ipotetica sinistra giottesca” (p. 51). In alto volano schiere di angeli secondo un ritmo danzante, che a Volpe evocava le fanciulle al centro della veduta urbana degli Effetti del Buon Governo.
L’affresco era stato riferito a Pietro Lorenzetti da Bernard Berenson (1932, p. 293), mentre Cesare Brandi (1933, pp. 142-143) gli aveva accorpato i Santi Massimino e Antonio Abate della Pinacoteca Nazionale di Siena, oggi ritenuti autografi di Ambrogio, come Volpe riconosceva già per il San Massimino, a costituire un fantomatico Maestro di Montefalco, notevole seguace del Lorenzetti. Tuttavia, Volpe (1951, p. 52) teneva a ribadire che “una delle creazioni più complesse ed elaborate di tutta arte italiana” non poteva essere opera di un allievo, perché “al cosiddetto capolavoro si arriva per lunghe, penose, affaticate stagioni ed è già un prodigio se la mente di Ambrogio ha retto fino ad un termine così lontano”. Lo studioso concludeva che l’affresco della cittadina umbra realizzava un’estrema rimeditazione su motivi del percorso precedente di Ambrogio, quali l’Eva della Maestà nel santuario di San Galgano a Montesiepi, il trono dell’Incoronazione di Maso a Budapest o gli angeli del concittadino Simone Martini.
La lettura di Volpe a favore di Ambrogio è rimasta pressoché ignorata negli studi successivi. Alessandro Bagnoli (2017, p. 451) ha di recente colto le ragioni dello studioso bolognese, optando però per la presenza di un collaboratore formatosi al tempo degli affreschi di Montesiepi e della Maestà di Massa Marittima nei pieni anni trenta. Da ultimo, è stato invece Andrea De Marchi (2021, pp. 20-21) a recuperare la proposta di Volpe, pur ammettendo il ruolo avuto dalla bottega nell’esecuzione pittorica, con una condivisibile anticipazione del dipinto al quarto decennio.
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Ambrogio Lorenzetti: Incoronazione della Vergine. Montefalco, Sant’Agostino. Fototeca Volpe, inv. 2372/15B, Bologna, Biblioteca delle Arti, Fototeca I.B. Supino
Ambrogio Lorenzetti: Incoronazione della Vergine, particolare. Montefalco, Sant’Agostino. Fototeca Volpe, inv. 2372/16B, Bologna, Biblioteca delle Arti, Fototeca I.B. Supino
Giotto: Incoronazione della Vergine, particolare del polittico Baroncelli. Firenze, Santa Croce. Fototeca Volpe, inv. 1399/24, Bologna, Biblioteca delle Arti, Fototeca I.B. Supino
Ambrogio Lorenzetti: Effetti del Buon Governo in città e in campagna, particolare. Siena, Palazzo Pubblico. Fototeca Volpe, inv. 2369/40, Bologna, Biblioteca delle Arti, Fototeca I.B. Supino
Ambrogio Lorenzetti: Sant’Antonio Abate. Siena, Pinacoteca Nazionale. Fototeca Volpe, inv. 2372/20B, Bologna, Biblioteca delle Arti, Fototeca I.B. Supino
Ambrogio Lorenzetti: Maestà. Chiusdino, San Galgano a Montesiepi. Fototeca Volpe, inv. 2371/04, Bologna, Biblioteca delle Arti, Fototeca I.B. Supino
Maso di Banco: Incoronazione della Vergine. Budapest, Szépmüvészeti Múzeum. Fototeca Volpe, inv. 1712/18, Bologna, Biblioteca delle Arti, Fototeca I.B. Supino
Questo mirabile lacerto raffigurante L’Adorazione del Bambino fu riscoperto alla fine degli anni Settanta del Novecento sulla parete orientale dell’attuale sagrestia della chiesa carmelitana di San Martino Maggiore a Bologna. In un primo momento, la critica sembrò orientarsi verso un’attribuzione a Francesco del Cossa, almeno finché Volpe non intervenne a risolvere la questione più correttamente, ovvero assegnando la paternità del dipinto al grande pittore fiorentino Paolo Uccello.
Lo studioso rese nota la sua proposta, poi condivisa in maniera unanime, in un articolo pubblicato nel 1980 sulla rivista “Paragone”. Al di là della giusta attribuzione, questo saggio impressiona per il rigore metodologico e dimostra una volta di più la capacità di Volpe di sviluppare un discorso critico profondo e complesso, ma sempre basato sull’analisi filologica di un dato oggetto figurativo. Il ragionamento dello studioso partiva infatti dal riconoscimento della corretta autografia del dipinto, ma anche dai tempi della sua esecuzione, testimoniati dalla data 1437 che appare incisa sull’intonaco e che venne riscoperta da Camillo Tarozzi in seguito allo strappo dell’affresco ordinato dalla Soprintendenza. Un punto di riferimento cronologico tanto precoce, ma di fatto legato a una composizione di sorprendente modernità, convinse dunque Volpe a sovvertire quell’ingenerosa lettura longhiana che aveva affibbiato all’Uccello un “curricolo ritardatissimo” (p. 9) e un ruolo poco più che marginale all’interno del dibattito che coinvolse, all’indomani della morte di Masaccio, i più importanti pittori attivi a Firenze. Al contrario, l’affresco bolognese venne giudicato da Volpe come “la riflessione più audacemente progettante e schietta in tutti gli anni fiorentini che intercorrono fra Masaccio e Piero” (p. 21) e la riprova di come Paolo Uccello sapesse operare, già nel corso del quarto decennio, in termini di assoluta avanguardia.
Si tratta infatti di una costruzione solenne e lucidissima, per di più introdotta da un’elaborata cornice prospettica e dentellata, che richiama l’analogo motivo impiegato dal pittore nel Monumento all’Acuto del 1436. L’erculeo Bambino posto al centro della scena è il perno da cui si diparte una salda composizione geometrica e spaziale, che sembra poi dilatarsi nelle imponenti figure degli adoranti e nelle due bestie viste in audacissimo scorcio. In margine, le sagome minute dei tre Magi sembrano rimirare l’ultima nostalgia tardogotica irradiata da un esile spicchio di luna, brano assai poetico che Volpe seppe ricollegare agli affreschi compiuti da Paolo in una delle cappelle presbiteriali del Duomo di Prato o allo straordinario San Giorgio che uccide il drago della National Gallery di Melbourne, cioè ad opere databili entro la prima metà del quarto decennio del Quattrocento e che segnano un momento di passaggio nella repentina maturazione rinascimentale di Paolo Uccello.
L’Adorazione di Bologna assume poi un valore ulteriore, in quanto testimonianza preziosa del ruolo non secondario che il maestro fiorentino dovette svolgere nella diffusione delle novità toscane in nord Italia: l’impareggiabile occhio di Volpe riuscì infatti a scorgere nella testa superstite del san Giuseppe, con la “sua struttura superbamente antica, nutrita di un sentimento archeologico e romanticamente eroico” (p. 23), un precedente dei Giganti in terra verde che lo stesso Uccello aveva eseguito nella casa padovana della famiglia de’ Vitali e che secondo la testimonianza riportata nella seconda edizione delle Vite di Giorgio Vasari ([Giunti, Firenze 1568] Sansoni, Firenze 1878-1881, vol. II [1878], p. 214) dovevano essere “tanto belli che Andrea Mantegna ne faceva grandissimo conto”.
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Paolo Uccello: Adorazione del Bambino. Bologna, San Martino Maggiore. Fototeca Volpe, inv. 2258/1, Bologna, Biblioteca delle Arti, Fototeca I.B. Supino
Paolo Uccello: Adorazione del Bambino, particolare. Bologna, San Martino Maggiore. Fototeca Volpe, inv. 2258/3, Bologna, Biblioteca delle Arti, Fototeca I.B. Supino
Paolo Uccello: Adorazione del Bambino, particolare. Bologna, San Martino Maggiore. Fototeca Volpe, inv. 2258/14, Bologna, Biblioteca delle Arti, Fototeca I.B. Supino
Paolo Uccello: Adorazione del Bambino, particolare. Bologna, San Martino Maggiore. Fototeca Volpe, inv. 2258/2, Bologna, Biblioteca delle Arti, Fototeca I.B. Supino
Paolo Uccello: San Giorgio che uccide il drago. Melbourne, National Gallery of Victoria. Fototeca Volpe, inv. 2258/57, Bologna, Biblioteca delle Arti, Fototeca I.B. Supino
Paolo Uccello: Adorazione del Bambino, particolare. Bologna, San Martino Maggiore. Fototeca Volpe, inv. 2258/4, Bologna, Biblioteca delle Arti, Fototeca I.B. Supino
Nel 1976 la rivista “Paragone” dedicò un intero numero alla memoria di Arcangeli, scomparso appena due anni prima. Fu in questa precisa occasione che Volpe decise di presentare una tela che era passata in asta presso Sotheby’s (Firenze, 16 dicembre 1975) con un generico riferimento a scuola veneta del XVIII secolo e che oggi appartiene alla collezione d’arte Unicredit. Lo studioso era invece convinto che questo “mirabilissimo dipinto […] sfolgorante di verità poetica e nuda” (p. 115) potesse spettare soltanto a Ludovico Carracci e per di più a una fase aurorale del suo percorso, addirittura precedente all’impresa condotta coi cugini in Palazzo Fava nel 1584.
La corretta lettura degli strumenti di tortura rappresentati in primo piano, tra cui il braciere con le tenaglie “tra vasariano e tibaldesco” (p. 116), permisero a Volpe di precisare meglio anche il soggetto iconografico e di riconoscere nel santo inginocchiato di fronte all’apparizione miracolosa della Vergine la figura di san Vicenzo martire di Valencia e non quella di san Gaetano, come era stato sostenuto fin lì senza troppa cognizione.
Questa attribuzione confermava in maniera lampante e definitiva il contributo fondamentale fornito da Ludovico all’avvio della cosiddetta riforma carraccesca e dava dunque ragione a certe intuizioni che Arcangeli aveva sostenuto, “quasi indimostrabilmente” (p. 115), già a partire da un articolo intitolato Sugli inizi dei Carracci pubblicato nel 1956 proprio su “Paragone” (VII, 79, luglio 1956, pp. 17-48). La tesi aveva suscitato però la reazione piccata e veemente del maestro Longhi (Annibale 1584?, in “Paragone”, VIII, 89, maggio 1957, pp. 33-42) pronto a smentire sulle pagine della stessa rivista (da lui fondata) le posizioni dell’allievo e a ribadire la supremazia del solo Annibale Carracci. D’altronde, lo stesso Arcangeli aveva ammesso la superiorità di Annibale sul piano della pittura pura e del talento, dunque dell’arte, eppure rivendicava a Ludovico un’autonomia assoluta nel campo dell’invenzione e della poesia. Ad Arcangeli era però mancata la prova offerta dalle opere, ovvero i ‘documenti di prima’ dello storico dell’arte, poiché lo studioso non era riuscito ad individuare nessun dipinto giovanile di Ludovico che potesse pareggiare quanto espresso da Annibale in lavori come la Crocifissione di San Nicolò di San Felice, datata 1583.
La nuova paletta riscoperta da Volpe, con la stupenda nota cromatica della dalmatica scarlatta che brilla contro il terreno fangoso e soprattutto l’idea di una scena calata entro uno spazio “naturale e meteorologico […] di insolita fisica pregnanza” (p. 121), confermava finalmente e senza più esitazioni tutta la grandezza e originalità della figura del più anziano dei Carracci, già a partire dall’inizio del nono decennio. Che la tela debba risalire proprio a quegli anni è d’altronde comprovato anche dal dettaglio della Madonna col Bambino, precisa citazione baroccesca registrata anche da un’incisione di Agostino Carracci, che con la sua data 1582 fornisce un riferimento cronologico indiretto anche al San Vincenzo dipinto dal cugino maggiore. Volpe badava anzi a dire che la tela di Ludovico venne intesa dai tre cugini, proprio per la sua novità e precocità, come un’invenzione “memorabile e fondamentale” (p. 124), tanto è vero che lo stesso Agostino la prese a modello per inquadrare in un’analoga quinta naturale la scena con le Stigmate di san Francesco raffigurata in un’incisione firmata e datata 1586. Bisogna sottolineare, proprio per intendere il metodo del conoscitore, che la riscoperta di un dipinto di tale qualità fosse intesa da Volpe come la verifica di “un fatto storicamente accertabile” (p. 124), dunque capace di creare o suffragare certe ipotesi critiche fin lì impreviste o rimaste in sospeso.
Come breve postilla al suo articolo e quasi come inevitabile conseguenza della sua stessa scoperta, Volpe indicò inoltre la necessità di sganciare la Flagellazione di Cristo del museo della Certosa di Douai dal legame istituito da Denis Mahon (1965, p. 383) (e accettato da Arcangeli [1970, p. 204]) con gli affreschi di Palazzo Magnani del 1590 circa e di anticipare questo “violento e patetico quasi crudele dipinto” (p. 125) agli stessi anni delle Macellerie dipinte da Annibale: ne deriva un’ulteriore riprova dell’“originaria schiettezza e libertà” (p. 126) di Ludovico, ma anche del carattere lombardo diretto e quasi precaravaggesco del suo linguaggio, che diede fin da subito linfa vitale al nuovo discorso pittorico inaugurato all’unisono dalla brigata carraccesca.
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Ludovico Carracci: San Vincenzo Martire in adorazione della Madonna col Bambino. Bologna, Palazzo Magnani, collezione Unicredit. Fototeca Volpe, inv. 1097/13, Bologna, Biblioteca delle Arti, Fototeca I.B. Supino
Ludovico Carracci: San Vincenzo Martire in adorazione della Madonna col Bambino. Bologna, Palazzo Magnani, collezione Unicredit. Fototeca Volpe, inv. 1097/15, Bologna, Biblioteca delle Arti, Fototeca I.B. Supino
Ludovico Carracci: San Vincenzo Martire in adorazione della Madonna col Bambino, particolare. Bologna, Palazzo Magnani, collezione Unicredit. Fototeca Volpe, inv. 1097/17, Bologna, Biblioteca delle Arti, Fototeca I.B. Supino
Agostino Carracci: Madonna col Bambino sulle nubi. Bologna, Pinacoteca Nazionale. Fototeca Volpe, inv. 133/18, Bologna, Biblioteca delle Arti, Fototeca I.B. Supino
Agostino Carracci: San Francesco che riceve le stigmate. Bologna, Pinacoteca Nazionale. Fototeca Volpe, inv. 133/19, Bologna, Biblioteca delle Arti, Fototeca I.B. Supino
Ludovico Carracci: Flagellazione di Cristo. Douai, Musée de la Chartreuse. Fototeca Volpe, inv. 1097/18, Bologna, Biblioteca delle Arti, Fototeca I.B. Supino
“Paragone”, XXVII, 317-319, luglio-settembre 1976, numero monografico dedicato a Francesco Arcangeli
Mostra a cura di Giacomo Alberto Calogero e Gianluca del Monaco
Supervisione, mostra online, comunicazione: Giulia Calanna, Caterina Cossetto
Digitalizzazioni, schede di catalogo, allestimento: Margot Bellini, Giada Compagnoni, Anna Sofia Desideri, Rosario Leuzzi, Emma Squartini e Sofia Zanardi.
Si ringrazia Pasquale Fameli per la consulenza in fase di allestimento della mostra.
Tutte le foto esposte fanno parte della Fototeca Volpe della Biblioteca delle Arti, sezione Arti Visive "I. B. Supino", Alma Mater Studiorum - Università di Bologna.